mercoledì 26 novembre 2008

esercizi di italiano L2

Aggiungi la consonante giusta a. Marco ama la mon_agna b. I bam_ini giocano in cortile c. I nego_i chiudono tardi d. Il vestito ve_de costa troppo e. Gli anziani pen_ano spesso al passato f. Compriamo un mazzo di _iori per Sara g. Vorrei un tè ca_do h. Avete una macchina molto _eloce 4. Sai usare i verbi essere e avere? Inserisci le forme corrette dell'indicativo presente del verbo essere o del verbo avere nelle frasi seguenti: Esempio: Io molto stanco --> a. Oggi il tempo _ bello b. Se _ freddo, potete prendere una coperta nell'armadio c. (Io) _ un'ora di pausa dopo la lezione d'italiano d. Di dove _ _ _(voi)? e. Il Piemonte e la Sicilia ____ due grandi regioni italiane f. Pietro e Chiara ____ paura di arrivare tardi a scuola g. Quanti fratelli ___(tu)? h. (Tu) ___ davvero un bravo cuoco! Conosci gli articoli determinativi? Inserisci l'articolo determinativo accanto alle parole seguenti: a. __sera b. __insegnante c. __nonni d. __porte e. __studente f. __albergo g. __biglietto h. __amica Preposizioni semplici. Completa le frasi con la preposizione giusta, come nell'esempio: Es.: Paolo va in piscina. a. Il libro è __Lucia. b. Vivo __Firenze. c. Abito__ via Giuseppe Verdi 19. d. Siete __Parigi e. Amo la pizza__ i funghi f. Oggi resto__ casa g. Elena abita__ il padre e la madre h. Sono __Italia studiare l'italiano Questo è solo un piccolo esempio se vuoi altri esercizi clicca qui Società Dante Alighieri

martedì 25 novembre 2008

verifica di storia di Novembre

Collega con una freccia la data all’avvenimento corrispondente morte di CarloI 1649 pace di Cateau Cambresis 1559 pace di Augusta 1555 pace di Westfalia 1648 Sacco di Roma 1527
Dai una definizione delle seguenti parole nello spazio sottostante RIFORMA CONTRORIFORMA PROTEZIONISMO ASSOLUTISMO
Completa le frasi : A) Dopo la Guerra dei Cent’Anni in Europa emergono le_________________________________in particolare Francia e Inghilterra B)Dopo la pace di Cateau Cambresis l’Italia passa sotto dominazione ________________________ C)La pace di Westfalia conclude la lunga guerra dei _____________________________________ Qual è l’ordine esatto dei personaggi che si sono succeduti dalla condanna di Carlo I alla “Gloriosa Rivoluzione” in Inghilterra al comando del Paese ? : a) Carlo I – Monk – Guglielmo d’Orange – Cromwell – Carlo II b) Carlo I– Carlo II– Cromwell – Monk– Guglielmo d’Orange c) Carlo I– Cromwell– Monk–– Carlo II– Guglielmo d’Orange In cosa consiste in Inghilterra il passaggio da open fields a enclosures ?

mercoledì 19 novembre 2008

Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, canto VII

Ambientato durante l'epoca delle crociate, il poema eroico-cavalleresco "Gerusalemme liberata" consta di 20 canti di ottave e l'autore se ne occupò per quasi tutta la sua vita, apportandovi nel tempo diverse modifiche. La prima edizione fedele dell'opera si ebbe nel 1584 a cura di Scipione Gonzaga. L'azione del poema si apre nel periodo conclusivo della lotta tra cristiani e musulmani, con Goffredo di Buglione che riceve l'ordine divino di conquistare al più presto il Santo Sepolcro agli infedeli. La composizione del poema, l'opera più rappresentativa di Torquato Tasso, procurò molte sofferenze al suo autore, continuamente preoccupato per l'ortodossia del suo contenuto. Intanto Erminia infra l'ombrose piante d'antica selva dal cavallo è scòrta, né piú governa il fren la man tremante, e mezza quasi par tra viva e morta. Per tante strade si raggira e tante il corridor ch'in sua balia la porta, ch'al fin da gli occhi altrui pur si dilegua, ed è soverchio omai ch'altri la segua. 2 Qual dopo lunga e faticosa caccia tornansi mesti ed anelanti i cani che la fèra perduta abbian di traccia, nascosa in selva da gli aperti piani, tal pieni d'ira e di vergogna in faccia riedono stanchi i cavalier cristiani. Ella pur fugge, e timida e smarrita non si volge a mirar s'anco è seguita. 3 Fuggí tutta la notte, e tutto il giorno errò senza consiglio e senza guida, non udendo o vedendo altro d'intorno, che le lagrime sue, che le sue strida. Ma ne l'ora che 'l sol dal carro adorno scioglie i corsieri e in grembo al mar s'annida, giunse del bel Giordano a le chiare acque e scese in riva al fiume, e qui si giacque. 4 Cibo non prende già, ché de' suoi mali solo si pasce e sol di pianto ha sete; ma 'l sonno, che de' miseri mortali è co 'l suo dolce oblio posa e quiete, sopí co' sensi i suoi dolori, e l'ali dispiegò sovra lei placide e chete; né però cessa Amor con varie forme la sua pace turbar mentre ella dorme. 5 Non si destò fin che garrir gli augelli non sentí lieti e salutar gli albori, e mormorar il fiume e gli arboscelli, e con l'onda scherzar l'aura e co i fiori. Apre i languidi lumi e guarda quelli alberghi solitari de' pastori, e parle voce udir tra l'acqua e i rami ch'a i sospiri ed al pianto la richiami. 6 Ma son, mentr'ella piange, i suoi lamenti rotti da un chiaro suon ch'a lei ne viene, che sembra ed è di pastorali accenti misto e di boscareccie inculte avene. Risorge, e là s'indrizza a passi lenti, e vede un uom canuto a l'ombre amene tesser fiscelle a la sua greggia a canto ed ascoltar di tre fanciulli il canto. 7 Vedendo quivi comparir repente l'insolite arme, sbigottír costoro; ma li saluta Erminia e dolcemente gli affida, e gli occhi scopre e i bei crin d'oro: "Seguite," dice "aventurosa gente al Ciel diletta, il bel vostro lavoro, ché non portano già guerra quest'armi a l'opre vostre, a i vostri dolci carmi." 8 Soggiunse poscia: "O padre, or che d'intorno d'alto incendio di guerra arde il paese, come qui state in placido soggiorno senza temer le militari offese?" "Figlio," ei rispose "d'ogni oltraggio e scorno la mia famiglia e la mia greggia illese sempre qui fur, né strepito di Marte ancor turbò questa remota parte. 9 O sia grazia del Ciel che l'umiltade d'innocente pastor salvi e sublime, o che, sí come il folgore non cade in basso pian ma su l'eccelse cime, cosí il furor di peregrine spade sol de' gran re l'altere teste opprime, né gli avidi soldati a preda alletta la nostra povertà vile e negletta.

verifica

Costriusci nello spazio sottostante in 10 righe un breve testo che ha per titolo "L'Umanesimo e il Rinascimento, le caratteristiche di un'epoca." e che utilizzi le seguenti parole chiave : humanutas, mecenatismo, società di corte, classicismo, stampa a caratteri mobili, questione della lingua, 1527. Unisci con una freccia le opere letterarie al loro autore : -Le Prose della Volgar Lingua -Nicolò Machiavelli-Il Principe -Francesco Guicciardini -L' Orlando Furioso -Pietro Bembo- Le Storie d'Italia -Ludovico Ariosto -Siderus Nuncius -Galileo Galilei -Il Cortegiano -Baldassarre Castiglioni Barra la casella corrispondente alla affermazione giusta : 1 il poema epico cavalleresco è :a) un breve componimento in prosab) comosto da due quartine e due terzinec)un lungo componimento poetico in rima 2 la stanza in poesia è :a)un luogo immaginariob)la strofa usata dall'Ariosto composta da 8 versi in rima fra loroc)l'abitazione del principe 3 Il nesso virtù-fortuna nell' opera di Macchiavelli Il Principe rappresenta :a)lo stemma della famiglia De' Medici a cui è dedicata l'opera Il Principeb)le caratteristiche del principe cioè qualità personali e buona sorte devono convivere nell'operato del signorec)la virtù è meglio della fortuna 4 IL Principe di Machiavelli èa) un trattato economicob) un trattato politicoc) un trattato sociale Rispondi vero o falso 1 Il poema epico cavalleresco ha come modelli gli antichi poemi greci e latini, pur raccontando avvenimenti più moderni che riguardano le avventure del cavaliere V o F 2 il sistema dell' universo proposto da Galileo è quello aristotelico tolemaico V o F 3 L'Orlando Furioso non ha una narrazione cornice V o F 4 La visione antropocentrica è tipica dell' Umanesimo V o F 5 Il petrarchismo è la ripresa della poetica di Petrarca nel 1700 V o F 6 L' Umanesimo e successivamente il Rinascimento sono compresi tra il XIV e il XVI secolo V o F

Galileo, Sidereus Nincius

AVVISO ASTRONOMICO CHE CONTIENE E SPIEGA OSSERVAZIONI DI RECENTE CONDOTTE CON L'AIUTO DI UN NUOVO OCCHIALE SULLA FACCIA DELLA LUNA, SULLA VIA LATTEA E LE NEBULOSE, SU INNUMEREVOLI STELLE FISSE, E SU QUATTRO PIANETI DETTI ASTRI MEDICEI NON MAI FINORA VEDUTI Grandi cose per verità in questo breve trattato propongo all'osservazione e alla contemplazione di quanti studiano la natura. Grandi, dico, e per l'eccellenza della materia stessa, e per la novità non mai udita nei secoli, e infine per lo strumento mediante il quale queste cose stesse si sono palesate al nostro senso.Grande cosa è certamente alla immensa moltitudine delle stelle fisse che fino a oggi si potevano scorgere con la facoltà naturale, aggiungerne e far manifeste all'occhio umano altre innumeri, prima non mai vedute e che il numero delle antiche e note superano più di dieci volte.Bellissima cosa e mirabilmente piacevole, vedere il corpo della Luna, lontano da noi quasi sessanta raggi terrestri, così da vicino come distasse solo due di queste dimensioni; così che si mostrano il diametro stesso della Luna quasi trenta volte, la sua superficie quasi novecento, il volume quasi ventisettemila volte maggiori che quando si guardano a occhio nudo: e quindi con la certezza della sensata esperienza chiunque può comprendere che la Luna non è ricoperta da una superficie liscia e levigata, ma scabra e ineguale, e, proprio come la faccia della Terra, piena di grandi sporgenze, profonde cavità e anfratti.Inoltre non mi pare si debba stimar cosa da poco l'aver rimosso le controversie intorno alla Galassia, o Via Lattea, e aver manifestato al senso oltre che all'intelletto l'essenza sua; e inoltre il mostrare a dito che la sostanza degli astri fino a oggi chiamati dagli astronomi nebulose è di gran lunga diversa da quel che si è fin qui creduto, sarà cosa grata e assai bella.Ma quel che di gran lunga supera ogni meraviglia, e principalmente ci spinse a renderne avvertiti tutti gli astronomi e filosofi, è l'aver scoperto quattro astri erranti, da nessuno, prima di noi, conosciuti né osservati, che, a somiglianza di Venere e Mercurio intorno al Sole, hanno le loro rivoluzioni attorno a un certo astro cospicuo tra i conosciuti, ed ora lo precedono ora lo seguono, non mai allontanandosene oltre determinati limiti. E tutte queste cose furono scoperte e osservate pochi giorni or sono con l'aiuto d'un occhiale che io inventai dopo aver ricevuto l'illuminazione della grazia divina.Altre cose più mirabili forse da me e da altri si scopriranno in futuro con l'aiuto di questo strumento, della cui forma e struttura e dell'occasione d'inventarlo dirò prima brevemente, poi narrerò la storia delle osservazioni da me fatte.Circa dieci mesi fa ci giunse notizia che era stato costruito da un certo Fiammingo un occhiale, per mezzo del quale gli oggetti visibili, pur distanti assai dall'occhio di chi guarda, si vedevan distintamente come fossero vicini; e correvan voci su alcune esperienze di questo mirabile effetto, alle quali chi prestava fede, chi no. Questa stessa cosa mi venne confermata pochi giorni dopo per lettera dal nobile francese Iacopo Badovere, da Parigi; e questo fu causa che io mi volgessi tutto a cercar le ragioni e ad escogitare i mezzi per giungere all'invenzione di un simile strumento, che poco dopo conseguii, basandomi sulla dottrina delle rifrazioni. Preparai dapprima un tubo di piombo alle cui estremità applicai due lenti, entrambe piane da una parte, e dall'altra una convessa e una concava; posto l'occhio alla parte concava vidi gli oggetti abbastanza grandi e vicini, tre volte più vicini e nove volte più grandi di quanto non si vedano a occhio nudo. In seguito preparai uno strumento più esatto, che mostrava gli oggetti più di sessanta volte maggiori. E finalmente, non risparmiando fatiche e spese, venni a tanto da costruirmi uno strumento così eccellente, che gli oggetti visti per il suo mezzo appaiono ingranditi quasi mille volte e trenta volte più vicini che visti a occhio nudo. Quanti e quali siano i vantaggi di un simile strumento, tanto per le osservazioni di terra che di mare, sarebbe del tutto superfluo dire. Ma lasciate le terrestri, mi volsi alle speculazioni del cielo; e primamente vidi la Luna così vicina come distasse appena due raggi terrestri. Dopo questa, con incredibile godimento dell'animo, osservai più volte le stelle sia fisse che erranti; e poiché le vidi assai fitte, cominciai a studiare il modo con cui potessi misurare le loro distanze, e finalmente lo trovai. Su questo è bene siano avvertiti tutti coloro che vogliono darsi a simili osservazioni.

Giovanni della Casa, Rime, sonetto L.

O Sonno, o della queta , umida, ombrosa Notte placido figlio ; o de' mortali Egri conforto , oblìo dolce de' mali Sì gravi , ond' è la vita aspra e nojosa ; Soccorri al core omai che langue, e posa Non ave; e queste membra stanche e frali Solleva: a me ten vola, o Sonno, e l'ali Tue brune sovra me distendi e posa. Ov' è '1 silenzio, che '1 dì fugge e '1 lume? E i lievi sogni , che con non secure Vestirla dì seguirti han per costume? Lasso! che 'nvan te chiamo, e queste oscure E gelide ombre invan lusingo : o piume D'asprezza colme! o notti acerbe e dure!

Baldassarre Castiglioni, Il libro del cortegiano, libro III, cap.IV

Non uscite dei termini, signor Magnifico, ma attendete all'ordine dato e formate la donna di palazzo, acciò che questa cosí nobil signora abbia chi possa degnamente servirla -. Seguitò il Magnifico: - Io adunque, Signora, acciò che si vegga che i comandamenti vostri possono indurmi a provar di far quello ancora ch'io non so fare, dirò di questa donna eccellente come io la vorrei; e formata ch'io l'averò a modo mio, non potendo poi averne altra, terrolla come mia a guisa di Pigmalione. E perché il signor Gaspar ha detto che le medesime regule che son date per lo cortegiano serveno ancor alla donna, io son di diversa opinione; ché, benché alcune qualità siano communi e cosí necessarie all'omo come alla donna, sono poi alcun'altre che piú si convengono alla donna che all'omo, ed alcune convenienti all'omo dalle quali essa deve in tutto esser aliena. Il medesimo dico degli esercizi del corpo; ma sopra tutto parmi che nei modi, maniere, parole, gesti e portamenti suoi, debba la donna essere molto dissimile dall'omo; perché come ad esso conviene mostrar una certa virilità soda e ferma, cosí alla donna sta ben aver una tenerezza molle e delicata, con maniera in ogni suo movimento di dolcezza feminile, che nell'andar e stare e dir ciò che si voglia sempre la faccia parer donna, senza similitudine alcuna d'omo. Aggiungendo adunque questa avvertenzia alle regule che questi signori hanno insegnato al cortegiano, penso ben che di molte di quelle ella debba potersi servire ed ornarsi d'ottime condizioni, come dice il signor Gaspar; perché molte virtú dell'animo estimo io che siano alla donna necessarie cosí come all'omo; medesimamente la nobilità, il fuggire l'affettazione, l'esser aggraziata da natura in tutte l'operazion sue, l'esser di boni costumi, ingeniosa, prudente, non superba, non invidiosa, non malèdica, non vana, non contenziosa, non inetta, sapersi guadagnar e conservar la grazia della sua signora e de tutti gli altri, far bene ed aggraziatamente gli esercizi che si convengono alle donne.

martedì 18 novembre 2008

Pietro Bembo, Prose della volgar lingua, libroI, cap.XV

[1.XV.] - È adunque la fiorentina lingua - disse lo Strozza - piú gentile e piú vaga, messer Carlo, della vostra? - È senza dubbio alcuno, - rispose egli - né mi ritrarrò io, messer Ercole, di confessare a voi quello che mio fratello a ciascuno ha confessato, in quella lingua piú tosto che in questa dettando e commentando. - Ma perché è, - rispose lo Strozza - che quella lingua piú gentile sia che la vostra? - Allora disse mio fratello: - Egli si potrebbe dire in questa sentenza, messer Ercole, molte cose; perciò che primieramente si veggono le toscane voci miglior suono avere, che non hanno le viniziane, piú dolce, piú vago, piú ispedito, piú vivo; né elle tronche si vede che sieno e mancanti, come si può di buona parte delle nostre vedere, le quali niuna lettera raddoppiano giamai. Oltre a questo, hanno il loro cominciamento piú proprio, hanno il mezzo piú ordinato, hanno piú soave e piú dilicato il fine, né sono cosí sciolte, cosí languide; alle regole hanno piú risguardo, a' tempi, a' numeri, agli articoli, alle persone. Molte guise del dire usano i toscani uomini, piene di giudicio, piene di vaghezza, molte grate e dolci figure che non usiam noi, le quali cose quanto adornano, non bisogna che venga in quistione. Ma io non voglio dire ora, se non questo: che la nostra lingua, scrittor di prosa che si legga e tenga per mano ordinatamente, non ha ella alcuno; di verso, senza fallo, molti pochi; uno de' quali piú in pregio è stato a' suoi tempi, o pure a' nostri, per le maniere del canto, col quale egli mandò fuori le sue canzoni, che per quella della scrittura, le quali canzoni dal sopranome di lui sono poi state dette e ora si dicono le Giustiniane -.

Ludovico Ariosto, Orloando Furioso, Canto Primo

1 Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori, le cortesie, l'audaci imprese io canto, che furo al tempo che passaro i Mori d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto, seguendo l'ire e i giovenil furori d'Agramante lor re, che si diè vanto di vendicar la morte di Troiano sopra re Carlo imperator romano. 2 Dirò d'Orlando in un metesmo tratto cosa non detta in prosa mai né in rima: che per amor venne in furore e matto, d'uom che sì saggio era stimato prima; se da colei che tal quasi m'ha fatto, che 'l poco ingegno ad or ad or mi lima, me ne sarà però tanto concesso, che mi basti a finir quanto ho promesso. 3 Piacciavi, generosa Erculea prole, ornamento e splendor del secol nostro, Ippolito, aggradir questo che vuole e darvi sol può l'umil servo vostro. Quel ch'io vi debbo, posso di parole pagare in parte e d'opera d'inchiostro; né che poco io vi dia da imputar sono, che quanto io posso dar, tutto vi dono. 4 Voi sentirete fra i più degni eroi, che nominar con laude m'apparecchio, ricordar quel Ruggier, che fu di voi e de' vostri avi illustri il ceppo vecchio. L'alto valore e' chiari gesti suoi vi farò udir, se voi mi date orecchio, e vostri alti pensieri cetino un poco, sì che tra lor miei versi abbiano loco. 5 Orlando, che gran tempo inamorato fu de la bella Angelica, e per lei in India, in Metia, in Tartaria lasciato avea infiniti et immortal trofei, in Ponente con essa era tornato, dove sotto i gran monti Pirenei con la gente di Francia e de Lamagna re Carlo era attendato alla campagna, 6 per far al re Marsilio e al re Agramante battersi ancor del folle ardir la guancia, d'aver condotto, l'un, d'Africa quante genti erano atte a portar spada e lancia; l'altro, d'aver spinta la Spagna inante a destruzion del bel regno di Francia. E così Orlando arrivò quivi a punto: ma tosto si pentì d'esservi giunto; Che vi fu tolta la sua donna poi: ecco il giudicio uman come spesso erra! Quella che dagli esperii ai liti eoi avea difesa con sì lunga guerra, or tolta gli è fra tanti amici suoi, senza spada adoprar, ne la sua terra. Il savio imperator, ch'estinguer vòlse un grave incendio, fu che gli la tolse. 8 Nata pochi dì inanzi era una gara tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo; che ambi avean per la bellezza rara d'amoroso disio l'animo caldo. Carlo, che non avea tal lite cara, che gli rendea l'aiuto lor men saldo, questa donzella, che la causa n'era, tolse, e diè in mano al duca di Bavera; 9 in premio promettendola a quel d'essi, ch'in quel conflitto, in quella gran giornata, degli infideli più copia uccidessi, e di sua man prestasse opra più grata. Contrari ai voti poi furo i successi; ch'in fuga andò la gente battezzata, e con molti altri fu 'l duca prigione, e restò abbandonato il padiglione. 10 Dove, poi che rimase la donzella ch'esser dovea del vincitor mercete, inanzi al caso era salita in sella, e quando bisognò le spalle diete, presaga che quel giorno esser rubella dovea Fortuna alla cristiana fede: entrò in un bosco, e ne la stretta via rincontrò un cavallier ch'a piè venía. 11 Indosso la corazza, l'elmo in testa, la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo; e più leggier correa per la foresta, ch'al pallio rosso il villan mezzo ignudo. Timida pastorella mai sì presta non volse piede inanzi a serpe crudo, come Angelica tosto il freno torse, che del guerrier, ch'a piè venía, s'accorse. 12 Era costui quel paladin gagliardo, figliuol d'Amon, signor di Montalbano, a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo per strano caso uscito era di mano. Come alla donna egli drizzò lo sguardo, riconobbe, quantunque di lontano, l'angelico sembiante e quel bel volto ch'all'amorose reti il tenea involto.

Francesco Guicciardini, Storia d'Italia, cap. XVIII, paragrafo 8

Però il giorno medesimo gli spagnuoli, non avendo trovato né ordine né consiglio di difendere il Trastevere, non avuta resistenza alcuna, v'entrorono dentro; donde non trovando piú difficoltà, la sera medesima a ore ventitré, entrorono per ponte Sisto nella città di Roma: dove, da quegli in fuora che si confidavano nel nome della fazione, e da alcuni cardinali che per avere nome di avere seguitato le parti di Cesare credevano essere piú sicuri che gli altri, tutto il resto della corte e della città, come si fa ne' casi tanto spaventosi, era in fuga e in confusione. Entrati dentro, cominciò ciascuno a discorrere tumultuosamente alla preda, non avendo rispetto non solo al nome degli amici né all'autorità e degnità de' prelati, ma eziandio a' templi a' monasteri alle reliquie onorate dal concorso di tutto il mondo, e alle cose sagre. Però sarebbe impossibile non solo narrare ma quasi immaginarsi le calamità di quella città, destinata per ordine de' cieli a somma grandezza ma eziandio a spesse direzioni; perché era l'anno......... che era stata saccheggiata da' goti. Impossibile a narrare la grandezza della preda, essendovi accumulate tante ricchezze e tante cose preziose e rare, di cortigiani e di mercatanti; ma la fece ancora maggiore la qualità e numero grande de' prigioni che si ebbeno a ricomperare con grossissime taglie: accumulando ancora la miseria e la infamia, che molti prelati presi da' soldati, massime da' fanti tedeschi, che per odio del nome della Chiesa romana erano crudeli e insolenti, erano in su bestie vili, con gli abiti e con le insegne delle loro dignità, menati a torno con grandissimo vilipendio per tutta Roma; molti, tormentati crudelissimamente, o morirono ne' tormenti o trattati di sorte che, pagata che ebbono la taglia, finirono fra pochi dí la vita. Morirono, tra nella battaglia e nello impeto del sacco, circa quattromila uomini. Furono saccheggiati i palazzi di tutti i cardinali (eziandio del cardinale Colonna che non era con l'esercito), eccetto quegli palazzi che, per salvare i mercatanti che vi erano rifuggiti con le robe loro e cosí le persone e le robe di molti altri, feciono grossissima imposizione in denari: e alcuni di quegli che composeno con gli spagnuoli furono poi o saccheggiati dai tedeschi o si ebbeno a ricomporre con loro. Compose la marchesana di Mantova il suo palazzo in cinquantaduemila ducati, che furono pagati da' mercatanti e da altri che vi erano rifuggiti: de' quali fu fama che don Ferrando suo figliuolo ne partecipasse di diecimila. Il cardinale di Siena: dedicato per antica eredità de' suoi maggiori al nome imperiale, poiché ebbe composto sé e il suo palazzo con gli spagnuoli, fu fatto prigione da' tedeschi; e si ebbe, poi che gli fu saccheggiato da loro il palazzo, e condotto in Borgo col capo nudo con molte pugna, a riscuotere da loro con cinquemila ducati. Quasi simile calamità patirono il cardinale della Minerva e il Ponzetta, che fatti prigioni da' tedeschi pagorono la taglia, menati prima l'uno e l'altro di loro a processione per tutta Roma. I prelati e cortigiani spagnuoli e tedeschi, riputandosi sicuri dalla ingiuria delle loro nazioni, furono presi e trattati non manco acerbamente che gli altri. Sentivansi i gridi e urla miserabili delle donne romane e delle monache, condotte a torme da' soldati per saziare la loro libidine: non potendo se non dirsi essere oscuri a' mortali i giudizi di Dio, che comportasse che la castità famosa delle donne romane cadesse per forza in tanta bruttezza e miseria. Udivansi per tutto infiniti lamenti di quegli che erano miserabilmente tormentati, parte per astrignergli a fare la taglia parte per manifestare le robe ascoste. Tutte le cose sacre, i sacramenti e le reliquie de' santi, delle quali erano piene tutte le chiese, spogliate de' loro ornamenti, erano gittate per terra; aggiugnendovi la barbarie tedesca infiniti vilipendi. E quello che avanzò alla preda de' soldati (che furno le cose piú vili) tolseno poi i villani de' Colonnesi, che venneno dentro. Pure il cardinale Colonna, che arrivò (credo) il dí seguente, salvò molte donne fuggite in casa sua. Ed era fama che, tra denari oro argento e gioie, fusse asceso il sacco a piú di uno milione di ducati, ma che di taglie avessino cavata ancora quantità molto maggiore.

Nicolò Machiavelli, Il Principe, cap. XXV

Capitolo XXV Quantum fortuna in rebus humanis possit, et quomodo illi sit occurrendum.[Quanto possa la Fortuna nelle cose umane, et in che modo se li abbia a resistere] E' non mi è incognito come molti hanno avuto et hanno opinione che le cose del mondo sieno in modo governate dalla fortuna e da Dio, che li uomini con la prudenzia loro non possino correggerle, anzi non vi abbino remedio alcuno; e per questo, potrebbono iudicare che non fussi da insudare molto nelle cose, ma lasciarsi governare alla sorte. Questa opinione è suta più creduta ne' nostri tempi, per la variazione grande delle cose che si sono viste e veggonsi ogni di, fuora d'ogni umana coniettura. A che pensando io qualche volta, mi sono in qualche parte inclinato nella opinione loro. Non di manco, perché el nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l'altra metà, o presso, a noi. Et assomiglio quella a uno di questi fiumi rovinosi, che, quando s'adirano, allagano e' piani, ruinano li arberi e li edifizii, lievono da questa parte terreno, pongono da quell'altra: ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede allo impeto loro, sanza potervi in alcuna parte obstare. E, benché sieno così fatti, non resta però che li uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessino fare provvedimenti, e con ripari et argini, in modo che, crescendo poi, o andrebbono per uno canale, o l'impeto loro non sarebbe né si licenzioso né si dannoso. Similmente interviene della fortuna: la quale dimonstra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resisterle, e quivi volta li sua impeti, dove la sa che non sono fatti li argini e li ripari a tenerla. E se voi considerrete l'Italia, che è la sedia di queste variazioni e quella che ha dato loro el moto, vedrete essere una campagna sanza argini e sanza alcuno riparo: ché, s'ella fussi reparata da conveniente virtù, come la Magna, la Spagna e la Francia, o questa piena non arebbe fatte le variazioni grandi che ha, o la non ci sarebbe venuta. E questo voglio basti avere detto quanto allo avere detto allo opporsi alla fortuna, in universali. Ma, restringendomi più a' particulari, dico come si vede oggi questo principe felicitare, e domani ruinare, sanza averli veduto mutare natura o qualità alcuna: il che credo che nasca, prima, dalle cagioni che si sono lungamente per lo adrieto discorse, cioè che quel principe che s'appoggia tutto in sulla fortuna, rovina, come quella varia. Credo, ancora, che sia felice quello che riscontra el modo del procedere suo con le qualità de' tempi; e similmente sia infelice quello che con il procedere suo si discordano e' tempi. Perché si vede li uomini, nelle cose che li 'nducano al fine, quale ciascuno ha innanzi, cioè glorie e ricchezze, procedervi variamente: l'uno con respetto, l'altro con impeto; l'uno per violenzia, l'altro con arte; l'uno per pazienzia, l'altro con il suo contrario: e ciascuno con questi diversi modi vi può pervenire. Vedesi ancora dua respettivi, l'uno pervenire al suo disegno, l'altro no; e similmente dua egualmente felicitare con dua diversi studii, sendo l'uno respettivo e l'altro impetuoso: il che non nasce da altro, se non dalla qualità de' tempi, che si conformano o no col procedere loro. Di qui nasce quello ho detto, che dua, diversamente operando, sortiscano el medesimo effetto; e dua egualmente operando, l'uno si conduce al suo fine, e l'altro no. Da questo ancora depende la variazione del bene: perché, se uno che si governa con respetti e pazienzia, e' tempi e le cose girono in modo che il governo suo sia buono, e' viene felicitando; ma, se e' tempi e le cose si mutano, rovina, perché non muta modo di procedere. Né si truova uomo sì prudente che si sappi accomodare a questo; sì perché non si può deviare da quello a che la natura l'inclina; sì etiam perché, avendo sempre uno prosperato camminando per una via, non si può persuadere partirsi da quella. E però lo uomo respettivo, quando elli è tempo di venire allo impeto, non lo sa fare; donde rovina: ché, se si mutassi di natura con li tempi e con le cose, non si muterebbe fortuna.